Antonio Serra's profile

The Blues Brothers

Jake - Rimettiamo insieme la vecchia banda, facciamo qualche serata, facciamo un po' di grana e, bang! 5.000 bigliettoni!
Elwood - Si, ma rimettere insieme la vecchia banda, insomma, non è mica tanto facile Jake.
Jake - Ma che stai dicendo?
Elwood - Si sono sciolti. Ora fanno tutti lavori rispettabili.

***

Diciamolo subito: il mitico film di John Landis del 1980 era solo un pretesto. 
A differenza di Jake ed Elwood, noi 40 anni dopo non eravamo in missione per conto di Dio... Ma non era forse un pretesto anche quello?
Rimettere insieme la banda, ecco il vero obiettivo, per loro e anche per noi.
Rimettere insieme un manipolo di "vecchi" speleologi senza voler dimostrare niente. Per il gusto di farlo, perché così l'avevamo sempre fatto. Con l'unica folle ambizione di provare a fotografare l'amicizia. Divertimento, emozioni, il piacere della compagnia e della grotta, sottintesi. Sapevamo che li avremmo trovati li ad aspettarci dovunque avessimo deciso di andare. D'accordo, l'esito era incerto: invece di entrare in una grotta potevamo cadere nella nostalgia... Bah!
Come John Belushi e Dan Aykroyd anche noi avevamo poco tempo a disposizione. Tanto invece ne era passato dall'ultimo concerto e dall'ultima grotta. Parecchi anni per alcuni di noi. 
Vi ricordate la scena iniziale, con Elwood che va a prendere Jake all'uscita dalla prigione? Vai a pensare, quel 24 febbraio, che in reclusione ci saremmo finiti tutti nel giro di un paio di settimane.
Ma torniamo alla nostra storia: non è stato difficile convincere i primi due componenti della banda. L'impresa ha così iniziato a prendere forma davanti a una birra artigianale in edizione limitata. Dell'idea si parla per ora solo come di una possibilità, una come tante, l'occasione per una chiacchierata e una bevuta.
La puntata nella sede del gruppo speleologico TAG sposta l'idea nella regione delle cose realizzabili. Il proiettore funziona ancora e le diapositive conservano tutto il loro fascino. Almeno quelle che si sono salvate. 
Scegliere tra le tante grotte nel sottosuolo delle nostre esperienze passate è facile: Sa Ucca de su Tintirriolu, la bocca del pipistrello, è come un richiamo. Una delle più belle del nostro territorio. Una delle prime per ciascuno di noi. Una certezza da diversi punti di vista, insomma.
Ogni foto appesa alla parete richiama risate, chilometri e fatiche, appuntamenti ai bivi del Supramonte quasi sempre rispettati e a volte perduti, in un'era in cui il cellulare non poteva salvarti, neppure da un ritardo, e le carte geografiche erano proprio di carta. Giuro.
E' il momento di scegliere l'attrezzatura. Lampada a carburo o luce elettrica? 
Non facciamo i pignoli, oggi vogliamo solo divertirci. Vada per i led. 
Ci mancherà l'odore inconfondibile del carburo - sulle dita fino al giorno successivo - e non ci bruceremo le mani con la fiamma ad acetilene. 
Ce ne faremo una ragione.
- Ello, viaggiu t'hat bessidu?
Ripetiamo le frasi che ci hanno accompagnato per anni, intercalari senza senso, battute che, ripetute allo sfinimento, trovano sempre ad aspettarle un sorriso.
A Cossoine recuperiamo un elemento fondamentale per la missione. Il tempo dei convenevoli d'obbligo, di levarsi il camice da negoziante e prendere la tuta speleologica e il sacco d'armo e siamo al completo.
Puntuale come il destino un passato dipinto esce dai muri per salutarci.
Procediamo verso l'immancabile tappa al bar.
I discorsi al bar non risentono del passare del tempo, come anche l'impossibilità di pagare se non sei del posto. Sono regole non scritte. E' ora di andare.
Come attori consumati passiamo con naturalezza da una scena all'altra.
E' il momento della vestizione. Il tempo, l'età, qualche chilo in più che fino a qui sembravano irrilevanti, iniziano a fare la differenza. L'ostinazione fa il resto.
Ora dovete sapere che la speleologia è un'attività che richiede un elevato livello di autonomia. Si fa in gruppo ma ciascuno deve essere indipendente. E' la prima cosa che si insegna ai neofiti: devi avere tutto quello che può servire ed essere sempre in grado di provvedere a te stesso. Poi se serve ci si aiuta, ovvio.
Però qui oggi questa interdipendenza, questo bisogno di aiuto anche per le cose più semplici è una cosa nuova e straordinariamente divertente.
Il controllo reciproco degli imbraghi invece è una pratica consueta e completa il rito corale della vestizione.
Attimi prima dell'ingresso, concentrati ciascuno sul proprio ombelico a decidere cosa portare dentro e cosa lasciare fuori. Sembra filosofia, invece è speleologia e, tra pochi istanti, saranno una cosa sola. Incatenate.
Che sia una grotta nuova o già visitata, esplorata, non c'è niente da fare: è sempre un momento magico questo parto al contrario. Si passa dal chiassoso e luminosissimo mondo esterno all'interno di una bolla di buio e silenzio, umidità densa e pareti avvolgenti. Un mondo misterioso e stranamente rassicurante.

La roccia del pavimento all'ingresso è liscia, quasi lucida, non per l'opera degli speleologi e neppure dei tombaroli. E' il segno di chi ci ha preceduto in queste terre. Uomini e donne che hanno ripetuto questi stessi movimenti migliaia di anni prima di noi. Il buio ci accoglie. E' uno strano sollievo.
Si procede chini per qualche metro accompagnati dalla luce esterna che piano piano si ritrae e poi, strisciando, si supera il punto più basso per rialzarsi infine e iniziare a percorrere l'ampia galleria.
Incredibile: proviamo ancora stupore. Forse è solo questo che cercavamo, che abbiamo sempre cercato.
Un ultimo passaggio tra le pareti che si restringono dopo le vasche stalagmitiche, prima del punto in cui dovremo calarci con le corde.
Il maestro d'armi si occupa di una faccenda delicata: ancorare le corde per la discesa e la successiva risalita. Non ci accorgiamo del tempo che passa. Ognuno ripesca sensazioni e ricordi. La situazione è sotto controllo, tutto è tranquillo e bellissimo.
Intanto Piero controlla, tasta, stringe, allenta, annoda, chiede una chiave, poi il martello e infine fissa la corda. L'armo è pronto.
Anche quello del figlio tra gli sguardi attenti che accompagnano la calata del decano (Salvatore ne ha 73) del nostro drappello.
Intanto l'acqua, artefice del vuoto che ci accoglie, continua indifferente la sua opera.
Solo uno stretto passaggio tra colonne stalagmitiche ha messo alla prova la nostra nuova agilità. Ci riposiamo soddisfatti nella sala finale e ci ritroviamo a parlare di come ci sentiamo bene, di quanto sia stata inattesa e felice questa uscita (entrata), a ricordare chi non c'è più, a fare progetti per altre incursioni nel sottosuolo... La prossima grotta? Quando? Riusciremo a recuperare alla causa altri musicisti? 
Un ultima fotografia prima di prendere la via dell'uscita.
Autoscatto appena fuori a documentare che siamo ancora giovani dentro.
5 piacevolissime ore e 3 chilometri di grotta sono volati.
E' il momento di cambiarsi e rientrare, c'è un negozio da aprire.
Non prima di aver chiuso il cerchio di questa piccola, bellissima impresa.
Fotografie scattate il 19 e il 24 febbraio 2020 a Thiesi, Cossoine e nella località di Bonu Ighinu, Mara.

© Antonio Serra

Grazie alla banda (Gruppo speleologico TAG - Truma de Arkeo-guturulugia "Monte Majore" di Thiesi) per l'entusiasmo e il talento dimostrati ancora una volta e grazie a Marco Sanna per l'incoraggiamento e i saggi quanto ruvidi suggerimenti ;-)


In ordine di apparizione

Antonello Mele
Gianmario Demartis
Pietro Virgilio
Giovanni Ferrandu
Salvatore Ferrandu
Tonino Campus (Bar Pizzeria Campus)
Maria Melis
Antonio Serra


La grotta

0177 SA/SS - Sa Ucca De Su Tintirriolu
Località: Bonu Ighinu (Mara)
Quota: 425 m slm
Sviluppo Spaziale: 1.500 m
Dislivello Totale: 80 m
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